“Questa giornata è stata l’occasione di lanciare l’idea e tentare di istituire un protocollo che ponga regole chiare e corrette nella cronaca giudiziaria in città, tra magistrati, giornalisti e avvocati”. E’ stato questo il primo riscontro del seminario-convegno che si è tenuto oggi (sabato 31 maggio 2025) nella sala consiliare del municipio di Ferrara. L’iniziativa si è svolta nell’ambito degli eventi formativi per i giornalisti e in occasione delle iniziative per il 130° anniversario di fondazione dall’Associazione Stampa Ferrara (ASFe) e ha visto il confronto tra  politici, magistrati, avvocati e giornalisti.
“Si tratta – spiega ASFe – di un protocollo già adottato a Milano tra tribunale, procura, ordine avvocati e giornalisti, già testato in passato a Napoli: un accordo che possa consentire più completezza nell’informazione, dare più strumenti ai giornalisti per poter accedere agli atti fondamentali, quali le ordinanze e documenti di provvedimenti non più coperti da segreto, e soprattutto nel rispetto della presunzione di innocenza e della tutela delle persone indagate”.
Il seminario-convegno che ha visto partner di ASFe l’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia Romagna e la Fondazione Odg, con il sostegno di Aser-Fnsi e il patrocinio di Comune di Ferrara, Provincia e Regione Emilia Romagna ha dibattuto sulle cosiddette Leggi “bavaglio”, facendo il punto sullo stato dell’informazione giudiziaria dopo l’introduzione delle leggi che si sono susseguite in oltre vent’anni, l’ultima delle quali – approvata dal governo Meloni – contempla il divieto di pubblicazione delle ordinanze che limita il diritto-dovere di cronaca.
“Leggi bavaglio? – si chiede e risponde il senatore Alberto Balboni tra i relatori – Non c’è nessuna legge bavaglio, il diritto di cronaca è salvaguardato perché valore costituzionale e in attuazione ai principi, ricordo, oltre il diritto di cronaca c’è anche quello alla riservatezza e la presunzione di non colpevolezza, sancita dalla direttiva europea cui ci siamo allineati e diventata presunzione di innocenza”, presunzione d’innocenza prima delle nuove norme dell’attuale governo, già voluta e garantita dal cosiddetta Legge Cartabia del precedente governo.Lo stesso senatore Balboni ha aggiunto contro l’affermazione che i giornalisti da sempre sottolineano sui divieti che imbavagliano le cronache, che “l’articolo 114 del codice di procedura penale (attorno cui ruota la nuova norma, ndr) come è stato riformato recentemente, vieta semplicemente di pubblicare per estratto o per intero le ordinanze di custodia cautelare, non vieta ovviamente di riassumerne il contenuto, quindi non c’è nessuna compressione del diritto di cronaca giudiziaria e del diritto di informazione, c’è semplicemente un riguardo nei confronti degli indagati: quindi nessun bavaglio, ma semplicemente tutela dei diritti”
Per Fabio Anselmo, avvocato ferrarese, protagonista come legale nei casi Aldrovandi, Cucchi e Bergamini (solo per citarne alcuni) invece “qualsiasi legge che limita il diritto di cronaca e la libertà di stampa è una legge bavaglio, quale che ne sia il motivo, qualsiasi”. “Quindi sì, si deve si parlare di bavaglio, questo è assolutamente indiscutibile, poiché i divieti vanno contro un diritto pieno per l’esercizio pieno di libertà di stampa a conoscere tutto, tutti gli atti del procedimento penale del fatto di cui si parla”. “Chiaro – conclude – che bisogna avere rispetto ovviamente del segreto investigativo, ma questo e i depositari del segreto investigativo sono gli organi della magistratura, sono le procure della repubblica, ma tentare di limitare, di censurare e di confinare il libero esercizio in qualsiasi modo della libertà di stampa è non soltanto sbagliato, ma ideologicamente dannoso”.
Dalla parte dei soggetti coinvolti nei procedimenti giudiziari sono gli avvocati, al convegno rappresentati da Ordine e Camera Penale. Pasquale Longobucco, dell’Osservatorio deontologico Camere penali, ha apprezzato momenti di confronto come questo: ”Questi incontri secondo me sono benvenuti perché cercano di dare il focus di ognuna delle parti del ‘processo’ che sono comunque parti attive in quello che è il sistema giustizia in generale e quando parlo del sistema giustizia parlo anche ormai del processo mediatico”. “Ci sono punti in comune, ci sono punti ovviamente che non sono condivisi tra noi che oggi abbiamo parlato, l’importante è il confronto, perché poi le idee possono anche rimanere uguali, però si comprendono le ragioni degli altri. Però su una cosa mi pare che siamo tutti d’accordo e che oggi siamo stati tutti d’accordo, cioè il processo mediatico non può trasformarsi, come spesso accade, in gogna mediatica. Questa è la sintesi e l’ultima affermazione che penso si possa fare”, concludendo e soffermandosi soprattutto sull’attualità delle indagini su omicidi in diretta tv.
“Nel convegno di oggi – spiega Niccolò Bellettati, consigliere Ordine avvocati Ferrara – il punto in comune è stato quello su come veicolare informazioni, conoscenze nei processi: dati di fatto che possono essere interessanti per l’opinione pubblica. Ho cercato di marcare la differenza tra l’approccio del giornalista, che è persona che veicola e dà informazioni professionalmente, e quella dell’avvocato, dove veicolare le informazioni può essere una parte del suo operato, della sua attività, che deve essere regolata e deve essere attenta a rispetto di tutti i principi deontologici che disciplinano la professione dell’avvocato”.
Ultimo, ma non ultimo, il sostituto procuratore Stefano Longhi sui rapporti che i magistrati debbono tenere con giornalisti: “La procura non è un ufficio stampa – risponde perentorio – forse dovrebbe dotarsi di ufficio stampa, ma non tutte ne hanno avuta disponibilità (in passato prima delle nuove norme, ndr), anche perché oggi dovrebbe essere solo il procuratore capo a tenere i rapporti con la stampa”, come impone la norma. Del resto ha spiegato Longhi (questa la sintesi) “la verità è che nella stragrande maggioranza dei casi la divulgazione di notizie riservate è un danno per l’indagine dei pm stessi” e che spesso, erroneamente, “viene contestato siano loro a violare questo segreto, passando sotto banco atti” quando invece i soggetti interessati sono tanti, ricordando che negli ultimi 20 anni saranno 4 o 5 i casi di magistrati accusati di questa violazione. Ma il problema oggi sono l’efficacia, la tempestività e la correttezza delle informazioni da fornire ai giornalisti.
E cita il caso di un fatto accaduto tra Ferrara e Firenze nei giorni scorsi. Un cittadino nigeriano arrestato a Ferrara per resistenza, portato in ospedale che confessa un omicidio avvenuto a Firenze agli agenti: “L’ho ucciso io”. Così partono le indagini di Longhi, pm di turno, fa i primi atti, via all’interrogatorio, poi la ricerca del corpo del morto ammazzato, e così via.”Io vado a letto alle 2 di notte – ricorda Longhi – e poche ore dopo, alle 8, leggo sui giornali tutto, nomi e circostanze, mentre il comunicato che era stato deciso sul fatto e che ho qui davanti era pronto solo alle 15”, senza troppi dettagli come vuole la nuova norma.
“Ai servizi dei giornalisti mancavano solo le telecamere che riprendevano l’aggressione – ironizza -. Informazioni non certo acquisite da me, visto che non ho parlato con nessuno, informando solo del fatto accaduto con il procuratore capo”.
“Che ci sia dunque la necessità di trovare regole o un modus operandi, come con il protocollo cui si sta pensando, è ormai fuori dubbio”, è il commento di Asfe.